.C'era una volta in un villaggio un ricco fabbro con la sua unica figlia, la bella
Akiko.
La moglie del fabbro era morta poco dopo la nascita della bambina e il
l'uomo si era risposato, perché aveva bisogno di qualcuno che gestisse la sua
casa.
La matrigna era avida e perversa, niente poteva renderla felice e odiava
Akiko, che invidiava perché, nonostante le umiliazioni a cui l'aveva sottoposta,
era allegra e sorridente.
Allora si lamenta di Akiko col marito:
Si diverte con chiunque, e questo non dovrebbe essere fatto da una giovane donna di buona famiglia.
Finirà per spaventare i tuoi clienti!
"Se continuiamo così, finiremo nella miseria".
Se non fossi attenta in ogni momento a tenerla d'occhio,Aniko distribuirebbe tutto
ciò che cade nelle sue mani.
A spendere se la cava benissimo, ma portare soldi a casa è un'altra faccenda.
Se continuiamo così, saremo costretti a mendicare; e vedrai dove ci conduce il
buon cuore di tua figlia!
In questo modo la matrigna calunniava Akiko giorno dopo giorno, e il padre gli
credeva.
Doveva guadagnare i soldi lavorando sodo e non gli piaceva gli sprechi
Akiko non si è mai difesa dalle accuse della matrigna.
Abbassava tristemente la testa e si asciugava le lacrime che scorrevano dei suoi
occhi,e il giorno dopo cantava la sua canzone favorita e risuonava di nuovo in
casa.
"Non prendi sul serio i consigli ben intenzionati",si disse il padre quando la sentì
cantare, e col tempo il suo cuore si indurì.
Alla vigilia di Capodanno, la matrigna si lamentò ad alta voce che Akiko
aveva l'intenzione di portare sfortuna in casa, perché, mentre preparava la torta
tradizionale, non lo faceva con il miglior riso ma con vecchie riserve, insultando
così il dio della felicità, il padre si arrabbiò e cacciò Akiko fuori di casa.
Akiko attraversò tristemente il villaggio.
Ovunque si stavano preparando per il nuovo anno, e nessuno si accorse di cosa
fosse successo alla figlia del fabbro, sempre così allegra.
Akiko proseguì per la sua strada e raggiunse il villaggio vicino.
Aveva freddo e fame; Se solo avessi trovato una casa dove lavorare per
guadagnare un po' di cibo e un letto per la notte..
ma in tutti i posti gli chiusero la porta con disprezzo.
Akiko era già così debole che riusciva a malapena a camminare; poi bussò alla
porta un ostello e ha chiesto del tè caldo.
"Signor non ho soldi, ma posso lasciarle la mia giacca trapuntata.
Mi può dare qualcosa di caldo da mangiare.
-Com'è facile! rispose il titolare dell'ostello.
Chiunque potrebbe fare lo stesso.
Ti do da mangiare e poi non mi danno niente per la giacca.
No! Dammi la giacca, la vendo e poi vedremo quanto vale.
Akiko si tolse la giacca e aspettò fuori casa, vestita solo con un
kimono molto leggero.
Il titolare dell'ostello mandò il domestico a vendere la giacca.
Akiko aspettò a lungo, sopportando la fame e il freddo.
"Quando porteranno i soldi, mangerò qualcosa di caldo e ne avrò ancora un po' di
monete per continuare la mia strada.
Forse troverò anche qualcuno compassionevole che mi dia un lavoro e mi accolga
durante la notte " pensava Aniko mentre aspettava.
Poiché non poteva più sopportare la fame e il freddo, Akiko chiamò dolcemente il
titolare dell'ostello.
"Non disturbarmi! Così giovane e vagabonda sulle strade!
Esci di qui, stai spaventando i miei clienti! —gli gridò il titolare dell'ostello.
Akiko, con voce tremante, gli ricordò la giacca che gli aveva dato per venderla:
«Era una buona giacca; sicuramente gliel'hanno dato abbastanza soldi perché mi
fornisca riso, pesce e una tazza di tè caldo.
"Ah, ah! Fa finta di avermi dato una giacca." esclamò il titolare dell'ostello,
ridendo sprezzante.
Una splendida giacca che vale una fortuna! Ah, ah, e no mi hai anche affidato
una borsa piena di soldi?
Sembra che anche a te manca.
Io, vendo una giacca per un mendicante!
Se possedessi una buona giacca, saresti tranquilla a casa tua invece di camminare
per le strade dei paesi!
Il titolare dell'ostello urlava così forte che i clienti finirono per prendere in giro la
povera ragazza.
Akiko iniziò a piangere.
La fame e il freddo erano terribili, ma niente la feriva più di quella palpabile
ingiustizia.
"Ecco, tieni questo!" disse l'oste lanciando una crosta di pane raffermo e un sacco
rattoppato.
Vedi che sono compassionevole e che non lascio a nessuno che se ne va senza
niente, nemmeno un mendicante spudorato come te.
E ora vai, altrimenti rilascio il mio cane!
Akiko si mise il sacco rattoppato sulla schiena e, con il viso arrossato
dall'imbarazzo, iniziò a correre mentre sentiva le risate e le battute dei
commensali.
Voleva solo andarsene!
Non si fermò fino al confine di un bosco.
Cominciò a nevicare e Akiko non sapeva dove fosse o dove stesse andando.
Disperata, si disse:
"Questo mondo non ha niente di buono in serbo per me."
Se devo morire di fame o di freddo da qualche parte lungo la strada e
servire come pretesto per la presa in giro degli uomini, preferisco
concludere con la mia vita."
Andrò nel bosco e lascerò i lupi mi mangino!
Così akiko va dentro di un bosco e urla:
— Lupo, caro lupo, vieni a mangiarmi; Non voglio più vivere!
Stava vagando da molto tempo quando, all'improvviso, alcuni rami si spezzarono
in una cespugli lungo il sentiero.
I rami si aprirono e un enorme lupo viola con grandi occhi rossi.
Si ritrasse come per saltare ma si ferma di colpo e lancia sguardi penetranti ad
Akiko.
Akiko ora che vedeva i denti aguzzi e sentiva il respiro caldo del lupo,
cominciò ad avere paura; ma subito si ricordò delle umiliazioni che
gli uomini le avevano inflitto e le ingiustizie che aveva subito, pensò alla
fame che aveva ed è rimasta ferma nella sua determinazione.
Guardò il lupo e, spaventata, ma con voce energica, disse:
"Lupo, mangiami!" Il mondo non può più offrirmi nulla di buono!
Il lupo si accovacciò e strizzò l'occhio e diede uno sguardo indagatore ad Akiko.
Poi si sedette sul zampe posteriori e disse con voce gentile, totalmente
inaspettato:
"No, non ti mangio." Non mangio uomini, almeno a uomini veri.
Hai troppa fiducia.
Ma ho intenzione di aiutarti.
Detto questo, strappò delicatamente due ciglia,e gliele diede ad Akiko e disse:
"Quando vuoi sapere che tipo di uomo hai davanti a te, metti questi due
ciglia davanti ai tuoi occhi e guarda bene.
Saprai immediatamente com'è la persona.
Fidati di quella persona che non cambia aspetto anche dopo un attento esame
che fai attraverso le ciglia.
Con quell'uomo sarai felice.
Non credere agli altri, anche se abbiano face di brave persone.
Akiko, sorpresa, ringraziò il lupo e se ne andò.
Nel suo stordimento aveva dimenticato la fame e il freddo.
Presto uscì dalla foresta e arrivò in una piccola città.
Akiko si fermò a un bivio; intorno a lei c'era una grande folla.
Sembravano tutti bravi e onesti.
Aniko pensò:
Come posso non fidarmi di questi uomini?
Akiko decide di seguire il consiglio del lupo.
Si portò le ciglia agli occhi e osservò le persone.
Qual è stata la sua sorpresa quando si è reso conto della trasformazione che è
avvenuta tra cittadini onesti e rispettosi!
Ad esempio, la donna ricca e piena di dignità vestita di seta, camminava
circondata da serve e una governante che porta un bambino dalla
mano: sopra il kimono di seta c'è ora la testa di un gallina che becca, affamata,
ovunque.
La governante ha la testa di un pesce, e le cameriere non sono altro che topi o
polli.
Un poco più in là: un funzionario con il suo il kimono cerimoniale che porta con
orgoglio ha la testa di un maiale.
Lungo una strada laterale, un mercante si avvicina al bivio;
ha una testa di volpe e occhietti furbi che lanciano sguardi ovunque.
Per quanto Akiko si guardi intorno, non vede altro che teste di animali sopra
i corpi vestiti di seta, cotone o poveri stracci rattoppati.
Da nessuna parte un volto umano!
Akiko divenne molto triste e si domanda:
Allora è così che va il mondo?
Non c'è davvero un solo uomo autentico in città?
Stava per rinunciare a ogni speranza quando vide un giovane carbonaio,
mal vestito, portando sulle spalle un enorme sacco di carbone.
Sembrava avesse viaggiato molto.
Indecisa, Akiko si avvicinò di nuovo le ciglia agli occhi.
Quale animale avrebbe visto di quel viso che ispirava tanta fiducia?
Guardò attentamente, ma le ciglia non lo trasformarono.
Non importa quanti giri e giri ha dato alle ciglia e ha affinato il suo sguardo.
Ha mantenuto il suo bel viso da ragazzo.
Akiko era felice; ma come si avvicinerebbe allo sconosciuto?
Cosa penserebbe di lei?
Così ha deciso di seguirlo di nascosto.
In questo modo avrebbe visto dove viveva e lungo la strada avrebbe sicuramente
capito come rivolgersi a lui.
Al mercato, il carbonaio scambiava il carbone con tè, riso e sale; poi senza
Fermarsi, diresse i suoi passi verso la montagna.
Akiko lo seguì a distanza,cercando di non perderlo completamente di vista.
Passarono davanti ad alcune risaie e poi svoltarono in un sentiero
selvaggio. Lì, il carbonaio scomparve; era giovane e forte, mentre Akiko
era molto debole per la fame e per la lunga strada che aveva percorso.
Ma, fortunatamente, ha visto del fumo in lontananza.
Quindi seguì la direzione del fumo, e in una radura vide, accanto a una
carboniera, una piccola casa.
Akiko andò direttamente alla casa e diede un'occhiata all'interno.
Non vide nessuno, ma c'era un bollitore d'acqua sul fuoco.
Il carbonaio non poteva essere lontana.
Esausta, Akiko si sedette sulla soglia e aspettò.
Dopo un momento, il carbonaio uscì dalla foresta, si fermò un momento
davanti alla giovane e gridò:
"Mi hai seguito fino qui, fantasma!" Vai per la tua strada, non a casa mia!
non troverai niente!
Akiko si alzò, lo salutò educatamente e gli assicurò che non era un fantasma, ma
un essere umano.
Alla fine, il carbonaio le credette.
Akiko gli raccontò la storia della matrigna malvagia e dell'ingiustizia del padre che
l'aveva cacciata di casa la vigilia di Capodanno.
Gli disse anche che avrebbe voluto che i lupi la mangiassero; alla fine ha chiesto
al carbonaio se voleva che restasse con lui.
So cucinare e posso prendermi cura della tua casa. Sono sicura che sarai
soddisfatto di me.
— Sono sicuro che sarò soddisfatto, ma non so se ti piacerebbe restare a casa
mia.
Io sono un semplice carbonaio che si guadagna da vivere penosamente con la
sua mani.
Akiko non aveva bisogno del lusso; Era felice di aver trovato un tetto, e il suo più
grande desiderio era poter stare a casa del carbonaio.
Prima di entrare in cabina si guardò i piedi, che erano sporchi per il lungo
viaggio.
No, non poteva entrare con i piedi così, e chiese al carbonaio dove
potrebbe lavarsi.
Dietro la carboniera, ai margini del bosco, c'è una sorgente.
La sorgente era circondata da travi di legno.
Akiko guardò l'acqua,la quale scintillava come se il sole si stesse riflettendo su di
essa.
"Ma se è già notte, da dove possono venire questi raggi di sole?"
si chiese Akiko e diede un'occhiata più da vicino.
In fondo alla sorgente c'erano molte pietre, ed erano quelle che brillavano.
Akiko estrasse una delle pietre dall'acqua e la esaminò.
Poi si lavò i piedi e poi si chinò per bere l'acqua, che sgorgava dalla roccia
attraverso un tubo di bambu.
"Sicuramente il carbonaio viene qui in cerca di acqua per fare il suo cibo", ha
pensato.
All'improvviso si rese conto che non era l'acqua che usciva dal tubo di bambù, ma
il migliore dei sake.
Akiko raccolse una delle pietre d'oro e corse alla capanna.
"Sai cos'è questa pietra?" chiese al carbonaio.
-Naturalmente; è una pietra normale. Il fiume e i suoi dintorni ne sono pieni di
queste pietre.
Sono molto belle, guarda come brillano.
E non perdono la lucentezza anche quando sono asciutte», disse il carbonaio a
bassa voce.
Guarda, ho decorato il camino con loro.
"Non è una pietra, è oro puro!" -gli spiego Akiko-.
In città ti daranno quello che vuoi per loro e non dovrai più guadagnarti da vivere
con un lavoro così pesante.
"Mi daresti del riso in cambio di un sasso?"
La stanchezza deve averti sconvolto.
In cambio del carbone, sì, mi danno quello che mi serve, ovviamente se ne ho
abbastanza continuò il carbonaio senza perdere affatto la calma.
"E sai cosa esce dal tubo di bambù della sorgente?"
-Ma cosa c'è che non va in te? protestò il carbonaio.
Qualunque più che grande acqua pura. Lo bevo da anni e non mi è successo
niente.
Akiko rise e il suo buonumore tornò.
"Acqua pura molto buona!" Non sai cos'è?
il miglior sake che abbia mai bevuto!
Poi spiegò al giovane carbonaio in mezzo a quali tesori aveva condotto una vita
dura fino ad allora.
"Domani porteremo l'oro in città e lo cambieremo con denaro".
Poi manderemo degli artigiani che ci costruiranno un rifugio vicino alla sorgente
di sakè
E rimarrai sorpreso dalla vita che condurremo allora!
Il carbonaio non ci credeva, ma vedendo la tristezza di Akiko scomparire e
Stanco, non voleva contraddirla.
Il giorno successivo portarono l'oro in città.
E poco tempo dopo, nella radura sorgeva l'ostello La Carbonera Apagada
foresta.
COSA IMPARIAMO DA QUESTA STORIA:
È necessario aprire gli occhi e capire che nel mondo reale ci sono tanti lupi trasvestiti da pecore e qualche lupo buono.
Nella vita ci sono giornate di sole, giornate piovose e anche giornate tempestose.
Il mondo può essere spesso crudele e la maggior parte delle persone pensa solo a se stesse.
Può capitare di trovarsi in una brutta situazione, e se non siamo attenti può
peggiorare la nostra situazione.
La vita ha insegnato ad Akiko che non solo aveva bisogno di pane e false
speranze,AVEVA BISOGNO DI AFFRONTARE LA SUA VITA E SMETTERE DI AVERE
TROPPO FIDUCIA NELLE PERSONE.
Tutte le persone hanno patologie, non esiste una persona perfetta.
La maggior parte delle persone cercano di apparire ciò che non sono.
Una brava persona che non sa come gestire i suoi beni, non vivrà bene finché non
si sveglia nella realtà che non si può vivere solo di bontà e gentilezza.
Occorre diventare furbi (usando le ciglia del lupo) per sapersi gestire per non
cadere nelle trappole della vita e anche quelle degli affari.
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Las pestañas del lobo
Vivìa una vez en un pueblo un rico herrero con su única hija, la bella Akiko.
La mujer del herrero había muerto poco después del nacimiento de la niña y el
hombre había vuelto a casarse, porque necesitaba que alguien llevara su casa.
Pero su elección no había sido afortunada.
La madrastra era avara y perversa, nada podía alegrarla y detestaba sobre
todo a Akiko, a la que envidiaba porque, a pesar de lashumillaciones a que la sometía, era alegre y sonriente.
A medida que la muchacha crecía, la madrastra la agobiaba cada vez con más
trabajo, de modo que la joven Akiko pronto se quedó sola para ocuparse de la
casa.
La madrastra pasaba el día holgazaneando y dando órdenes, y
por la noche se quejaba al padre diciendo que Akiko no había hecho esto o había
hecho mal aquello. Cuando oía estas acusaciones, Akiko se ponía a llorar, pero al
día siguiente lo había olvidado y se dedicaba a sus ocupaciones con alegría.
Trabajaba sin parar, y los sirvientes jamás oían una mala palabra de su parte.
Akiko era amable con la gente porque sabía por experiencia propia lo que
significaba la injusticia.
También era afable con los monjes y con los mendigos errantes que se encuentran
en los pueblos: nadie se iba nunca de la casa con las manos vacías.
De cuando en cuando incluso deslizaba en la mano de los novicios una moneda
de bronce que había cogido del dinero de la compra.
Todo el mundo amaba a Akiko.
Cuando sus canciones llenas de alegría sonaban por la casa, los criados
sentían el corazón contento y hacían más deprisa la tareas;
y la fortuna del herrero aumentaba.
Sin embargo, aquella actitud molestaba profundamente a
la madrastra; no pasaba una sola noche sin que se quejara:
—Se entretiene con cualquiera, y eso no lo debe hacer una joven de buena
familia.
¡Acabará espantando a tus clientes!
O también:
—Si seguimos así, acabaremos en la miseria.
Si no estuviera yo pendiente a cada instante, repartiría todo lo que cae en sus
manos.
Para gastar se las arregla muy bien, pero traer dinero a casa es otra cuestión.
Si continuamos de este modo, nos veremos obligados a mendigar; ¡y ya verás
adonde nos conduce el buen corazón de tu hija!
De este modo calumniaba a Akiko día tras día, y el padre le creía.
Tenía que ganar el dinero trabajando duramente y no le gustaba que se
despilfarrara.
Akiko jamás se defendía de las acusaciones de la madrastra.
Se limitaba a bajar tristemente la cabeza y enjugaba las lágrimas que brotaban
de sus ojos.
Pero al día siguiente sonaba de nuevo en la casa su alegre canción.
«No se toma en serio los consejos bien intencionados»,
se decía el padre al oírla cantar, y con el tiempo su corazón se endureció.
Y cuando, la víspera de Año Nuevo, la madrastra se quejó a gritos de que Akiko
tenía la intención de llevar la desgracia a la casa, pues, al preparar el pastel
tradicional, no lo había hecho con el mejor arroz sino con viejas reservas,
insultando así al dios de la Felicidad, el padre se enfadó y echo a Akiko de casa.
Akiko recorrió tristemente el pueblo. En todas partes preparaban el Año Nuevo, y
nadie advirtió lo que le había ocurrido a la hija del herrero, siempre tan alegre.
Akiko siguió su camino y llegó al pueblo vecino.
Tenía frío y hambre; si por lo menos hubiera encontrado una casa donde trabajar
para ganar un poco de alimento y un lecho para pasar la noche…, pero en todas
partes le cerraban la puerta con desdén.
Akiko estaba ya tan débil que apenas podía andar; entonces llamó a la puerta de
un albergue y pidió un poco de té caliente.
—Señor posadero, no tengo dinero, pero puedo dejarle
en prenda mi chaqueta acolchada.
Deme algo caliente para comer.
—¡Qué fácil! —respondió el posadero—.
Cualquiera podría hacer lo mismo.
Te pongo de comer y después no me dan nada por la chaqueta.
No, dame la chaqueta, la venderé y después ya veremos lo que vale.
Akiko se quitó la chaqueta y esperó ante la casa, vestida solamente con un ligero
kimono.
El posadero envió alcriado a vender la chaqueta y Akiko esperó, temblando de
frío, a que volviera con el dinero.
Se quedó allí mucho rato, soportando el hambre y el frío.
—Cuando traiga el dinero, comeré algo caliente, y todavía me quedarán algunas
monedas para proseguir mi camino.
Quizá también encuentre a alguien compasivo que me dé trabajo y me acoja
durante la noche —se consolaba a sí misma—.
Mi exilio no puede durar mucho tiempo; seguro que mi padre reconoce pronto
que ha cometido un error y me llama, porque no es posible que exista en el
mundo semejante injusticia.
Akiko esperaba desde hacía mucho rato.
Los huéspedes iban y venían, los criados y los sirvientes entraban y salían,
pero nadie se ocupaba de la muchacha que estaba acurrucada en el umbral.
Por fin, como ya no podía soportar el hambre y el frío, Akiko llamó suavemente al
posadero.
—¡No me molestes, desharrapada! ¡Tan joven y vagando
por las calles! ¡Lárgate de aquí, espantas a mis clientes! —
le gritó el posadero.
Akiko, con voz temblorosa, le recordó la chaqueta que le
había entregado para venderla:
—Era una buena chaqueta; seguramente le han dado lo
bastante por ella como para proporcionarme arroz, pescado
y una taza de té bien caliente.
—¡Ja, ja!, pretende haberme dado una chaqueta —
exclamó el posadero riendo con desprecio—.
¡Una preciosísima chaqueta que vale una fortuna! ¡Ja, ja!, ¿y no
me has confiado también una bolsa llena de dinero? Parece
que te falta también.
¿Habéis oído alguna vez semejante impertinencia?
¡Yo, vender una chaqueta para una mendiga!
¡Si poseyeras una buena chaqueta, estarías tranquilamente
en tu casa en lugar de recorrer las calles de los pueblos!
El posadero gritaba tan fuerte que los clientes salieron
del albergue para burlarse de la pobre muchacha.
Akiko se puso a llorar.
El hambre y el frío eran terribles, pero nada la hería tanto como aquella palpable
injusticia.
—¡Toma, aquí tienes esto! —dijo el posadero lanzándole
un mendrugo de pan duro y un saco remendado—. Para que
veas que soy compasivo y que un día de fiesta no dejo que
nadie se vaya sin nada, ni siquiera una mendiga
desvergonzada como tú. ¡Y ahora vete, o si no, suelto a mis
perros!
Akiko se puso el saco remendado a la espalda y, con la cara roja de vergüenza, se
fue corriendo entre las risas y las burlas de los comensales.
¡Sólo quería marcharse!
No se detuvo hasta el lindero del bosque.
Empezó a nevar y Akiko no sabía ni dónde se encontraba ni adonde iría.
Desesperada, se dijo:
—Este mundo no me reserva nada bueno.
Si tengo que morir de hambre o de frío en alguna parte del camino y
servir de pretexto para las burlas de los hombres, prefiero
terminar yo misma con mi vida. ¡Iré al bosque y dejaré que
me coman los lobos!
Traduciendo a los hechos su horrible decisión, se apartó
del camino y penetró en la noche del bosque.
«En las montañas hay muchos lobos y en invierno están hambrientos.
Seguramente no tardarán mucho en acabar para siempre con mis penas», se dijo
mientras caminaba.
Sumida en tales pensamientos, arribó a un pequeño claro, se sentó en una piedra
y esperó la aparición de los lobos.
Poco a poco llegó el crepúsculo, la nieve caía cada
vez más, el bosque estaba silencioso, no se movía ni una hoja.
«Quizá no sea el lugar apropiado», se dijo finalmente Akiko, al comprobar que los
lobos no aparecían.
«Nunca había estado en un bosque y no sé dónde están los lobos.
Tendré que buscarlos».
Se levantó y siguió su camino. Se abrió paso a través de espesas malezas,
recorrió senderos y llamó:
—¡Lobo, querido lobo, ven y cómeme; ya no quiero vivir!
Vagaba desde hacía mucho rato cuando, de repente, unas ramas crujieron en un
matorral que había junto al sendero.
Las ramas se apartaron y un enorme lobo violeta de grandes ojos rojos saltó al
camino.
Se encogió como para disponerse a saltar, enseñó susafilados colmillos y lanzó
penetrantes miradas a Akiko.
Ésta se paró en seco y se calló.
Ahora que veía los punzantes dientes y que sentía el aliento cálido del lobo,
empezó a tener miedo; pero inmediatamente se acordó de las humillaciones que
los hombres le habían infligido y de las injusticias que había sufrido, pensó en la
muerte por hambre que le acechaba y permaneció firme en su resolución.
Miró al lobo, y asustada, pero con voz enérgica, le dijo:
—¡Lobo, cómeme! ¡El mundo ya no puede ofrecerme nada bueno!
El lobo se agachó todavía más, guiñó los ojos y dirigió
una mirada escrutadora a Akiko. Luego, se sentó sobre las
patas traseras y dijo con amable voz, totalmente
inesperada:
—No, no te comeré. Yo no como a los hombres, al menos
a los verdaderos hombres.
Tienes demasiada confianza.
Pero voy a ayudarte.
Dicho esto, se arrancó suavemente dos pestañas, se las dio a Akiko y dijo:
—Cuando quieras saber qué clase de hombre tienes ante ti, pon estas dos
pestañas ante tus ojos y mira bien.
Inmediatamente sabrás cómo es la persona.
Confía en el que no cambie ni siquiera después del examen minucioso
que hagas a través de las pestañas.
Con ese hombre serás dichosa.
A los demás no les creas, aunque te pongan cara de buenos.
Akiko, sorprendida, dio las gracias al lobo y se fue.
En su aturdimiento había olvidado el hambre y el frío.
Pronto salió del bosque y llegó a una pequeña ciudad.
Akiko se situó en una encrucijada; a su alrededor había una gran multitud.
Muchos llevaban cestos o haces de leña a la espalda; otros conducían caballos al
mercado y muchos volvían con sus provisiones.
Había un gran número de mujeres con bellos atuendos y hombres con aspecto
de gran dignidad.
Todos parecían buenos y honestos.
¿Cómo podría no confiar en aquellos hombres?
Akiko decidió entonces seguir el consejo del lobo.
Puso las pestañas ante sus ojos y observó el bullicio.
¡Cuál no íue su sorpresa al constatar la transformación que se había operado
entre los ciudadanos de aspecto honrado y respetuoso!
Por ejemplo, la mujer rica llena de dignidad que, vestida de seda, paseaba
rodeada de sirvientas y de una institutriz que llevaba a un niño de la
mano: en lo alto del kimono de seda está ahora la cabeza
de un gallo que picotea, hambriento, a todos lados.
La institutriz tiene cabeza de pez, y las sirvientas no son sino ratones o
gallinas.
O un poco más lejos: un funcionario con su séquito; del cuello duro del
kimono de ceremonia sale con orgullo una cabeza de cerdo.
Por una calle lateral, un comerciante se acerca a la encrucijada;
tiene una cabeza de zorro y ojillos astutos lanzan miradas a todas partes.
Por mucho que Akiko mira a su alrededor, no ve sino cabezas de animales en lo
alto de cuerpos vestidos de seda, de algodón o de pobres harapos remendados.
¡En ninguna parte un rostro humano!
Akiko se puso muy triste. ¿Entonces así va el mundo?
¿Realmente no existe en la ciudad ni un solo hombre auténtico?
Estaba a punto de abandonar toda esperanza cuando vio a un joven carbonero,
pobremente vestido, llevando un enorme saco de carbón de leña a la espalda,
que se encaminaba lentamente hacia la encrucijada.
Se veía que había hecho un largo viaje. Indecisa, Akiko acercó otra vez
las pestañas a sus ojos.
¿Qué animal vería ahora en lugar del rostro que inspiraba tanta confianza?
Miró atentamente, pero el carbonero no se transformaba.
Por más vueltas y vueltas que dio a las pestañas y aguzó la mirada, el carbonero
conservó su bello rostro de muchacho.
Akiko era feliz; ¿pero cómo abordaría al forastero?
¿Qué pensaría de ella?
Entonces decidió seguir al carbonero en secreto.
Así vería dónde vivía, y por el camino seguramente se le ocurriría de qué modo
dirigirse a él.
En el mercado, el carbonero cambió el carbón por té, arroz y sal; luego, sin
detenerse, dirigió sus pasos hacia la montaña. Akiko le seguía a cierta distancia
tratando de no perderle de vista completamente.
El joven carbonero andaba deprisa y a Akiko le costaba seguirle.
Pasaron al lado de unos campos de arroz y luego se metieron en un sendero
silvestre. Allí, el carbonero desapareció; era joven y fuerte, mientras Akiko
estaba muy débil por el hambre y el largo camino que había recorrido.
Pero, afortunadamente, vio a lo lejos humo. Sin duda era la vivienda del
carbonero.
Siguió, pues, la dirección del humo, y en un claro vio, junto a una carbonera, una
pequeña cabaña.
Akiko se dirigió derecha a la vivienda y echó una ojeada al interior.
No vio a nadie, pero en el fuego había un hervidor con agua.
El carbonero no podía estar muy lejos.
Agotada, Akiko se sentó en el umbral y esperó.
Al cabo de un momento, el carbonero salió del bosque, se detuvo un momento
ante la joven y gritó:
—¡Me has seguido hasta aquí, fantasma! Sigue tucamino, ¡en mi casa no
encontrarás nada!
Akiko se levantó, saludó cortésmente y le aseguró que no era un fantasma, sino
un ser humano.
Al fin, el carbonero la creyó.
—Evidentemente, he advertido que me has seguido desde la ciudad. Por eso
apresure el paso; pero te quedabas detrás. Pensaba que eras un fantasma,
porque una muchacha no tiene costumbre de pasear sola por los bosques.
También por esa razón no me quedé en la cabaña, porque me dije que si el
fantasma no me encontraba, se iría.
Pero, dime, ¿qué haces aquí en el bosque?
No tienes aspecto de ser una vagabunda; me parece que has debido
de conocer tiempos mejores no hace mucho.
Akiko le contó la historia de la malvada madrastra y de la injusticia del padre que
la había echado de casa la víspera de Año Nuevo.
También le dijo que deseó que la comieran los lobos; por fin, preguntó al
carbonero si quería que se quedara con él.
—Sé cocinar y podré ocuparme de tu casa. Seguro que estarás satisfecho de mí.
—Yo, seguro que estaré satisfecho, pero no sé si tú lo estarás en mi casa.
No soy sino un simple carbonero que se gana la vida penosamente con sus
manos.
Mi casa no es como una casa rica.
Akiko no tenía necesidad de lujos; era dichosa por haber encontrado un techo, y
su mayor deseo era poder quedarse en casa del carbonero.
Antes de penetrar en la cabaña se miró los pies, que estaban sucios del largo
viaje.
No, ella no podía entrar con los pies así, y preguntó al carbonero dónde
podía lavarse.
—Detrás de la carbonera, en el lindero del bosque, hay un manantial.
El manantial estaba rodeado de vigas de madera.
Akiko se asomó y el agua brillaba como si el sol se reflejara en ella.
«Pero si ya es de noche, ¿de dónde pueden venir estos rayos de sol?», se
preguntó Akiko, y miró más de cerca.
Al fondo del manantial había muchas piedras, y eran ellas las que brillaban.
Akiko sacó una de las piedras del agua y la examinó.
Luego se lavó los pies, aunque casi le dio vergüenza meterlos en el agua del
manantial dorado.
Al final, se agachó para beber el agua, que brotaba de la roca por un tubo de
bambú.
«Seguramente el carbonero viene aquí a buscar agua para hacer su comida», se
dijo; pero, de repente, dejó de beber, sorprendida.
No era agua lo que salía del tubo de bambú, sino el mejor de los sakes.
Akiko cogió una de las piedras doradas y corrió a la cabaña.
—¿Sabes lo que es esta piedra? —preguntó al carbonero.
—Naturalmente; es una piedra ordinaria. El manantial y
sus alrededores están llenos de ellas.
Son muy bellas, mira cómo resplandecen.
Y no pierden el brillo ni cuando están secas —dijo el carbonero tranquilamente—.
Mira, con ellas he decorado la chimenea.
Y, si quieres, puedo empedrar el camino que conduce al manantial, ¡hay tantas!
—¡No es una piedra, es oro puro! —le explicó—.
En la ciudad te darán por ellas lo que quieras y ya no tendrás que ganarte la vida
con un trabajo tan pesado.
—¿Me darían arroz a cambio de una piedra?
El cansancio ha debido trastornarte.
A cambio de carbón, sí, me dan lo que necesito, por supuesto si tuviera bastante
—continuó el carbonero sin perder en absoluto la calma.
—¿Y sabes lo que sale del tubo de bambú del manantial?
—¿Pero qué te pasa? —protestó el carbonero—. Nada
más que buenísima agua pura. La bebo desde hace años y no me ha pasado
nada.
Akiko se echó a reír y recuperó su buen humor.
—¡Buenísima agua pura! ¿Acaso no sabes que es el
mejor sake que he bebido jamás?
Luego explicó al joven carbonero en medio de qué tesoros había llevado una vida
durísima hasta entonces.
—Mañana llevaremos el oro a la ciudad y lo cambiaremos por dinero.
Luego haremos venir artesanos y nos construirán un albergue junto al manantial
de sake.
¡Y te sorprenderá la vida que llevaremos entonces!
El carbonero no lo creía, pero al ver que a Akiko le desaparecía la tristeza y el
cansancio, no quiso contradecirla.
Al día siguiente llevaron el oro a la ciudad.
Y poco tiempo después, el albergue La Carbonera Apagada se erguía en el claro
del bosque.
Muy pronto, el albergue, con su buen sake y su amable dueña, eran conocidos en
todos los alrededores y, de cerca y de lejos, comerciantes y samuráis hacían un
alto en él.
Incluso el príncipe de la provincia se detuvo una vez para probar el delicioso vino
que manaba de la misma roca; el vino le gustó tanto que, a partir de ese
momento, mandó que lo enviaran a su palacio y no volvió a beber otro sake
nunca más.
El claro del bosque estaba siempre muy animado.
Después de los clientes ilustres acudían visitantes menos nobles y, por último, los
vagabundos: monjes, mendigos y mendigas.
Pero la dueña del albergue tenía una sonrisa para todo el mundo.
Pero ¿qué había ocurrido mientras tanto en el pueblo natal de Akiko?
Cuando el padre echó a la muchacha, la madrastra se quedó contenta al fin.
Pero ahora tenía que ocuparse solade la casa, y poco después se volvió tan
desagradable y gruñona como antes; eso duró hasta que su mal humor fue
tan grande que murió. Por su parte, el padre no tenía ya éxito en nada.
Todo parecía como embrujado.
Sus guadañas, antes muy solicitadas en los contornos, de repente se
rompían antes incluso de haberlas usado.
Si quería forjar una buena hacha, se volvía pésima. En vano regañaba a sus
aprendices y despedía a sus ayudantes: el taller se hundía cada vez más, y al
final no le quedó otra solución que ir a mendigar.
De este modo se cumplió lo que la madrastra había predicho, pero por otra razón
muy distinta.
Un día, el viejo herrero llegó, con otros mendigos, al albergue La Carbonera
Apagada.
No reconoció a su hija, pero le sorprendió ver que en lugar de recibirlos con
injurias, les servían una excelente sopa y, además, un cuenco del mejor sake.
Aquella hospitalidad hacia los pobres
mendigos le hizo pensar en su hija, que era tan amable y compasiva como la
dueña del albergue. Solamente en ese momento se dio cuenta de lo que una
palabra amable podía significar para un pobre hombre cansado y en la miseria, y
se arrepintió de haber actuado entonces con precipitación y sin reflexionar.
—Mi pobre Akiko; ¿qué ha sido de ella? ¿Es una
desdichada que vaga por el mundo como yo, o está muerta?
—suspiró el anciano, y las lágrimas rodaron por sus mejillas.
Akiko servía a sus clientes no lejos de los mendigos; pero un sentimiento
impreciso la atraía hacia los pobres harapientos. Sobre todo, el viejo mendigo le
resultaba conocido, hasta que, por fin, reconoció en él a su padre.
Dudó mucho rato en darse a conocer, pensando en su pena
y en las crueles palabras con las que su padre la había
echado de casa. Pero, al ver las lágrimas de amargura que
el viejo derramaba acordándose de su hija, lo olvidó todo y
se acercó a él.
—Padre, no llores más, soy tu Akiko.
—Akiko, hija mía —sollozó el herrero—. Ya ves cómo me ha castigado la suerte
por la injusticia que cometí.
Akiko llamó a su marido, y luego, los tres, llorando, se contaron su historia.
El viejo herrero se quedó con su hija y su marido y vivieron felices y contentos.
Y con frecuencia, más tarde, el anciano contaba a sus nietos la historia de sus
padres y del albergue La Carbonera Apagada.
LECCIONES DE VIDA DE ESTA HISTORIA:
No se puede ser ingenuo toda la vida y creer que la vida es siempre maravillosa,
es necesario abrir los ojos y entender que
en el mundo real hay ovejas y lobos (los cuales hay que saber distinguirlos muy
bien porque hay gente que parece que es buena pero en la realidad no lo son;
Y hay gente que aunque si es considerada mala en el fondo buscan de ayudar a la gente.
En la vida hay dìas de sol,dìas de lluvia y tambièn dìas de tormenta.
El mundo muchas veces puede ser cruel,la mayor parte de las personas piensa solo en ellas mismas.
A veces una mala situaciòn puede empeorar si no estamos atentosò
Mientras Akiko buscaba comida,sufriò muchas injusticias.
La vida le enseño que ella no solo necesitaba pan y falsas esperanzas,
ELLA NECESITABA AFRONTAR SU VIDA Y DEJAR DE TENER DEMASIADA CONFIANZA EN LA GENTE.
Todas las personas tienen patologìas,no existe la persona perfecta.
La mayor parte de las personas buscan de aparentar lo que no son.
Una persona buena que no sabe administrar no va a vivir bien hasta que no se despierta a la
realidad que no solo se puede vivir solo de bondad y amabilidad.
Es necesario ser astuto (usando las pestañas del lobo) para saber administrar y
no caer en trampas tanto en la vida como en los negocios.
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