sabato 30 aprile 2022

RICORDA CHI SEI!

 Italiano/English/Español

Il figlio di re di Francia, Luigi XVI aveva una consapevolezza incrollabile della sua

 identità. 

Da ragazzo fu rapito dagli uomini malvagi che avevano detronizzato suo padre, il

 re. 

Quegli uomini sapevano che se avessero potuto distruggerlo moralmente, egli non

 avrebbe ereditato il trono. 

Lo soggiogarono per sei mesi con ogni cosa spregevole che la vita aveva da

 offrire, eppure egli non cedette mai alla pressione. 

Questo lasciò perplessi i suoi rapitori e, dopo aver fatto tutto quello che

 riuscivano a immaginare, gli chiesero perché avesse una forza morale tanto

 grande. 

La risposta fu semplice: «Io non posso fare ciò che mi chiedete, perché sono

 nato per essere un re».

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Remember Who You Are!

The son of King Louis XVI of France  had an unshakable knowledge of his

 identity. 

As a young man, he was kidnapped by evil men who had dethroned his father, the

 king. 

These men knew that if they could destroy him morally, he would not be heir to

 the throne.

 For six months they subjected him to every vile thing life had to offer, and yet he

 never yielded under  pressure. 

This puzzled his captors, and after doing everything they could think of, they

 asked him why he had such great moral strength.

 His reply was simple.

He said, “I cannot do what you ask, for I was born to be a king.”

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¡Recuerda quién eres!

El hijo del Rey Luis XVI de Francia  tenía un conocimiento inquebrantable de su identidad.

 Cuando era joven, fue secuestrado por hombres perversos que habían

 destronado a su padre, el rey.

 Esos hombres sabían que si lograban destruirlo moralmente, no heredaría el

 trono. 

Durante seis meses lo sometieron a todas las cosas ruines de la vida y, no

 obstante, él nunca cedió ante la presión.

 Eso dejó perplejos a los secuestradores quienes, después de hacer todo lo que 

pudieron, le preguntaron por qué tenía tal entereza moral.

Su respuesta fue sencilla.

Dijo: “No puedo hacer lo que me piden, ya que nací para ser rey”

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La sequoia infelice

C’era una volta un bellissimo giardino, con alberi e fiori di ogni tipo, meli, aranci, rose, tutti felici e soddisfatti. C’era solo felicità in quel giardino,

tranne che per un albero che era molto triste. Il povero albero aveva un problema: non sapeva chi fosse!

“Ti manca la concentrazione” gli disse il melo “se davvero ti impegni, puoi fare mele deliziose. Guarda com’è facile”.

“Non ascoltarlo” intervenne il cespuglio di rose “e guarda quanto siamo belle noi!”.

L’albero disperato provò a seguire ogni consiglio. Cercò di produrre mele e far sbocciare rose ma, non riuscendoci, a ogni tentativo si sentiva sempre più frustrato.

Un giorno, arrivò nel giardino un vecchio gufo.

Era il più saggio di tutti gli uccelli e, vedendo la disperazione dell’albero,

esclamò: “Non ti preoccupare. Il tuo problema non è così serio. 

È lo stesso di tanti esseri umani! 

Ti darò io la soluzione: non passare la tua vita ad essere ciò che gli altri vogliono che tu sia. 

Sii te stesso. Conosci te stesso e, per far ciò, ascolta la tua voce interiore”.

Poi il gufo volò via e scomparve nel cielo.

“La mia voce interiore? Essere me stesso? Conoscere me stesso?” 

l’albero disperato pensava tra sé e sé alle parole del gufo quando, all’improvviso,

comprese. 

Si tappò le orecchie e aprì il suo cuore

Sentì la sua voce interiore che gli stava dicendo “Non darai mai mele, perché non sei un melo, e non fiorirai ogni primavera, perché non sei un cespuglio di rose. 

Tu sei una Sequoia, un albero imponente, il tuo destino è crescere alto e maestoso.

 Sei qui per offrire riparo agli uccelli, ombra ai viaggiatori, bellezza al paesaggio! 

Tu hai questa missione! Seguila!”.

A queste parole l’albero si sentì forte e sicuro di sé e cessò ogni tentativo di

diventare qualcun altro, quel qualcuno che gli altri si aspettavano da lui.

In breve tempo riempì il suo spazio e divenne ammirato e rispettato da tutti.

Solo da quel momento il giardino divenne completamente felice.

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La svolta di Diego (Marco Cammilli)

Diego entrò nella stanza e rimase sorpreso di trovarselo di fronte, con quello sguardo che lo puntava dritto. Notò però che c’era qualcosa di diverso. 

Gli occhi, un tempo brillanti e capaci di trasmettere emozioni,

avevano adesso una sorta di velo, sembravano opachi, spenti.

“Tristi” pensò. “Ecco cosa c’è di diverso”. I capelli erano arruffati e molto probabilmente avevano le stesse pieghe rilevabili sul cuscino.

 Il pizzetto, solitamente ben curato, sembrava aver perso quell’immagine ordinata che lo caratterizzava. Indosso aveva una maglietta abbondante che celava in parte l’esile figura. Il giro collo era liso e senza forma.

Pensò tutto questo in una manciata di secondi, anche se avrebbe potuto giurare di essere rimasto lì, ad osservare quel volto, per svariati minuti.

“Diego? Dai, rispondi, sono io! Come stai, tutto bene? Dai forza richiamami quando hai un attimo. Potremmo uscire insieme stasera se ti va… smettila di fare così ed esci. 

Devo riattaccare è arrivato il capo e sicuramente mi chiederà nuovamente quando rientri… non so più cosa inventarmi… devoandare… e mi raccomando richiama!”.

Il bip prolungato della segreteria telefonica, smorzò per alcuni istanti il rumore delle macchine giù in strada. La finestra aperta, faceva entrare un leggero venticello che mitigava parzialmente l’afa di quelle calde giornate.

I clacson sembravano strombazzare disordinatamente, come volessero

 amplificare il caos mattutino di Firenze.

Diego si avvicinò a quella figura. Appoggiò le mani sulla fresca e liscia superficie del lavandino. Ruotò il volto di lato per avere una visione d’insieme, per cercare qualcosa che neppure lui sapeva. Il suo riflesso era davanti a lui e, nonostante cercasse di sforzarsi, nessun sorriso apparve.

Diego era stanco, ma non era sonno quello che lo aveva reso la persona che, in quel momento, aveva di fronte a sé.

Cominciò a rivedere vecchi momenti e non poté fare a meno di pensare a

quante cose avrebbe voluto fare una seconda volta per potersi riscattare.

 Nei suoi 29 anni si accorse solo in quel momento che il tempo è realmente un

bene prezioso. Per la prima volta, in tutta la sua vita, ebbe la consapevolezza che, ogni attimo lasciato alle spalle, non sarebbe mai più tornato indietro.

 Per quanto banale fosse quel pensiero, si accorse che discontato non aveva proprio niente.

Non poté fare a meno di richiamare alla memoria le volte in cui aveva rimandato, le occasioni che aveva sprecato, convinto, con ingenua leggerezza, che ci sarebbe stato sempre tempo per fare tutto.

 Il tempo invece non fa eccezioni con nessuno: ogni istante trascorso è un attimo andato e sta a noi decidere se sfruttarlo per creare qualcosa o lasciarcelo sfuggire.

 Ogni attimo è un istante in meno che abbiamo, ogni istante moriamo un po’.

Diego afferrò quel turbine di pensieri amari e immaginò di buttarli tutti dentro un grosso scatolone. C’erano alcune scelte sbagliate, alcuni consigli sbagliati di amici sbagliati… C’erano momenti in cui l’incapacità di gestire le emozioni lo aveva portato a ferire le persone che amava, a dire cose che non avrebbe mai voluto dire. 

Proprio a quelle persone, il suo inconsistente coraggio, non ebbe mai forza e tempo per chiedere scusa.

Ma non era un problema, Diego avrebbe avuto tutto il tempo per farlo e, ogni giorno che passava, andava a letto raccontandosi che, il giorno

successivo, sarebbe stato quello giusto: il domani era il giorno perfetto.

Scorse mentalmente tutte quelle persone che gli erano state vicine, che avevano fatto parte della sua vita. Pensò ai genitori, soffermandosi su tutti i sacrifici che avevano fatto per lui. 

Non che Diego non avesse voluto loro bene, tutt’altro, li adorava, ma aveva fatto un grandissimo quantoirrimediabile errore: aveva dato per scontata la loro presenza.

Quando se n'era accorto, era troppo tardi, non c’erano già più. Un brutto incidente se li era portati via entrambi e quel domani, che tanto piaceva a Diego per fare le cose, per dire loro quanto erano stati importanti per lui, non sarebbe mai più arrivato. 

“Nel momento in cui dai per scontata la presenza delle persone, significa che le stai già perdendo” pensò Diego scuotendo la testa. Poi immaginò di afferrare quella maledetta paura che troppe volte lo aveva messo al tappeto.

Intanto dalla Tv in sala qualche trasmissione sui mondiali di calcio faceva pronostici sulla squadra che si sarebbe aggiudicata la coppa.

“Paura 20 – Diego 0” pensò.

A quel pensiero lo specchio rimandò un primo accenno di sorriso.

 Da tempo non accadeva. Gli occhi sembravano essersi arricchiti di quella piacevolissima vista e di quel pensiero sarcastico.

“Allora non è finita. Quella persona esiste ancora, devo solo dargli modo di riemergere”.

Un lampo sembrò guizzargli negli occhi. Si voltò di corsa, lasciandosi alle spalle il bagno e gettandosi sulla scrivania di camera, alla ricerca di un pezzo di carta e di una penna. Buttò malamente a terra i vestiti che da alcuni giorni stazionavano ovunque. Un bicchiere di vetro, urtato inavvertitamente, si schiantò a terra finendo in mille pezzi e riversando sul parquet un po’ di birra.

Diego sembrò non curarsene e le sue mani continuarono a muoversi freneticamente, tra cassetti e cassettini della scrivania. Non ebbe neppure il tempo di sedersi perché quello che aveva pensato, e che voleva scrivere, avrebbe cambiato la sua vita. Non poteva permettersi di lasciarselo sfuggire.

Per la prima volta decise, consapevolmente, che non avrebbe rinunciato.

Non lo avrebbe più fatto.

Afferrò la penna togliendo malamente il cappuccio con la bocca. 

Si gettò sul foglio e scrisse quelle poche parole che, prepotentemente, gli martellavano in testa. Fece un lungo sospiro.

Chiuse la penna, l’appoggiò a fianco del foglio, spostò la sedia e si sedette.

Prese in mano il pezzo di carta ed ammirò ciò che aveva scritto. 

Si sentiva fiero di sé, felice, consapevole di aver preso la decisione più importante

della sua vita.

Alzò il foglio e lesse con orgoglio: …e da oggi si cambia!





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