sabato 1 febbraio 2020

La confessione di Raskolnikov

Delitto e castigo (M.Dostoevskij)
La confessione di Raskolnikov

– Sonja, io ho un cuore cattivo, lo hai visto: e questo può spiegare molte cose. 
Sono venuto perché sono cattivo. Un altro non sarebbe venuto da te. Ma io sono vile…,
sono un mascalzone. Basta… non è questo il problema. Ora bisogna parlare, io non ne sono capace.

Egli si interruppe e si mise a riflettere.
– Non abbiamo niente in comune, noi! – esclamò d’un tratto. – Non ci assomigliamo.

Per questo, per questo sono venuto. Non me lo perdonerò mai.
– Hai fatto bene a venire – esclamò Sonja. – È meglio che io sappia. Molto meglio.
Raskolnikov la guardò addolorato.
– Che cosa m’ha spinto in realtà? – disse dopo aver riflettuto. – Ecco, volevo diventare un Napoleone. Per questo ho ucciso. Ebbene, ora capisci?
– No – mormorò Sonja ingenuamente, intimidita. – Ma parla…, parla. Capirò, capirò tutto dentro di me – lo supplicò.
– Capirai? Bene, vedremo.

Egli tacque e rimase a lungo assorto.
– Ecco: una volta mi proposi un problema: se al mio posto si fosse trovato, per esempio,
Napoleone, e non avesse avuto per cominciare la sua carriera né
Tolone, né l’Egitto, né il passaggio attraverso il Monte Bianco, ma al posto di tutte queste belle cose solenni ci fosse stata soltanto una ridicola vecchietta vedova di un impiegato del registro, da uccidere per di più, per poterle sottrarre i soldi dal baule (per la sua carriera, capisci?), egli avrebbe deciso di farlo, non avendo altra via d’uscita? 
Non lo avrebbe disgustato l’idea di un’azione così poco solenne e… delittuosa?

 Ecco, ti dirò che questo problema m’ha tormentato per molto tempo, che m’ha invaso una vergogna terribile quando alla fine ho avuto l’improvvisa intuizione che non solo non l’avrebbe disgustato ma non gli sarebbe neppure passato per la testa che non fosse un’impresa solenne… e anzi non avrebbe
neppure capito quale motivo ci fosse per provare disgusto.

E, se non avesse avuto un’altra via d’uscita, l’avrebbe strozzata senza un attimo di esitazione. Ecco, anch’io… sono uscito dalle mie meditazioni, l’ho uccisa… su un esempio autorevole. Ecco, è stato
proprio così. Ti fa ridere? Sì Sonja, la cosa più ridicola è che forse è stato proprio così…
A Sonja non veniva affatto da ridere.
– È meglio che mi parli semplicemente… senza esempi – lo pregò con un filo di voce
ancora più intimidita.
Egli si voltò verso di lei, la guardò tristemente e le prese le mani.
– Hai ragione di nuovo, Sonja. Sono tutte sciocchezze; quasi uno sproloquio insensato.
Vedi, tu sai che mia madre non ha quasi niente. 
Mia sorella ha avuto un’istruzione ed è costretta a girare per le case come istitutrice. 

Tutte le loro speranze erano riposte in me.
Io ho studiato, ma non potevo mantenermi all’università e sono stato costretto ad abbandonarla per il momento. Ma anche se si fosse andati avanti a quel modo, fra dieci, quindici anni non avrei potuto sperare di meglio che fare l’insegnante o l’impiegato a mille rubli.

– Parlava come se recitasse una lezione. – E intanto mia madre si sarebbe logorata per le
preoccupazioni e il dolore, e io non avrei potuto darle nessuna serenità, e mia sorella…
A mia sorella sarebbe potuto capitare anche di peggio.

 Che senso ha passare tutta la vita accanto alle cose e rinunciare a tutto, dimentichi della madre e umilmente rassegnati di
fronte alla vergogna della sorella? Per quale ragione? 

Per sotterrarle e poi imbastire una famiglia nuova, una moglie e dei figli, da lasciare anche loro senza un soldo? Ebbene…
allora ho deciso d’impadronimi dei soldi della vecchia, di usarli per i miei primi anni, per
mantenermi all’università senza tormentare mia madre, e per i passi dopo l’università; e
avrei fatto ogni cosa con larghezza, radicalmente, per costruire una nuova vita e intraprendere una nuova strada, indipendente… Ecco, ecco… è tutto… Be’, si capisce, a
uccidere la vecchia ho fatto male… Ecco, basta.
Si trascinò sfinito fino alla fine del discorso e chinò il capo.
– Non è così, non è così! – esclamò Sonja piena d’angoscia. – Possibile… no, non è vero!

– Lo vedi anche tu che non è così! Eppure sono stato sincero, t’ho detto la verità.

– Che verità è mai questa! Oh Signore!

– Io ho ucciso solo un pidocchio, Sonja, un pidocchio inutile, disgustoso, nocivo.

– Ma era un essere umano quel pidocchio!

– Sì, lo so bene che non era un pidocchio – rispose guardandola stranamente. – Del resto, io mento, Sonja – soggiunse. – È un pezzo che mento. Non è tutto qui, hai ragione. 

C’erano anche altri motivi, completamente diversi. 
È tanto che non parlo con nessuno, Sonja. Ora mi fa male la testa.

I suoi occhi luccicavano di febbre. Cominciava quasi a delirare; un sorriso inquieto vagava sulle sue labbra. 

Sotto la sua eccitazione traspariva una terribile debolezza. 
Sonja capì quanto stava soffrendo. 
Anche a lei cominciava a girare la testa. 

Egli parlava in un modo così strano: le sembrava di capire qualcosa, ma… «ma come, come, Signore!». 
E si tormentava le mani dalla disperazione.

– No, Sonja, non è così! – cominciò di nuovo sollevando improvvisamente il capo, come se una nuova, improvvisa ondata di pensieri l’avesse colpito e l’avesse di nuovo eccitato.
Non è così! Ma piuttosto: supponi (ecco sì, è meglio), supponi che io sia egocentrico,

invidioso, cattivo, ignobile, vendicativo e… anche incline alla pazzia. 
Tutte queste cose insieme: della mia pazzia ne parlavano anche prima, me ne sono accorto.

 Poco fa t’ho detto che non ho potuto mantenermi all’università. Ma lo sai che forse potevo?

 La mamma miavrebbe mandato l’indispensabile, e alle scarpe, agli abiti e al pane ci avrei pensato io
lavorando. Di lezioni me ne capitavano: mi offrivano mezzo rublo per lezione. Lavora
anche Razumichin2. Ma io mi sono incattivito (questa è la parola giusta). 

Allora, come un ragno mi sono ficcato nel mio buco. L’hai visto il mio canile, l’hai visto… E sai, Sonja, che
le stanze strette e i soffitti bassi soffocano l’anima e l’intelligenza? Ah, come odiavo quel
canile! E tuttavia non volevo uscirne. Apposta non volevo. 

Non uscivo per giorni interi e non volevo lavorare, e neanche mangiare volevo, stavo sempre coricato. Se Nastasja mi
portava qualcosa, mangiavo, se non me ne portava, la giornata passava lo stesso: apposta,
per cattiveria, non ne chiedevo. La sera non avevo luce, così giacevo al buio e non volevo
lavorare neppure per comprarmi le candele. 

Dovevo studiare, e avevo venduto i libri.
E sul tavolo, sui fogli e sui quaderni si accumulava la polvere. Preferivo starmene coricato a pensare. 

E pensavo sempre. E facevo sempre sogni strani, sogni diversi, è inutile che teli racconti. 
E allora cominciai a immaginare che… No, non è così.

 Di nuovo non riesco a raccontare. 
Vedi, allora mi domandavo sempre perché ero così stupido (dal momento che gli altri erano stupidi e io lo sapevo perfettamente) da non voler essere più intelligente.

Poi ho capito, Sonja, che occorre aspettare troppo perché tutti diventino intelligenti.
Poi ho capito anche che questo non sarebbe mai avvenuto, che gli uomini non cambiano,
che non si può mutarli e che non vale la pena sprecare energie. 

Sì, è così. È la loro legge.
È la legge, Sonja. È così. E ora so, Sonja, che chi è forte nell’intelligenza e nello spirito
domina gli altri uomini. 

Chi osa molto ha ragione di loro. Chi è capace di disprezzare più cose imporrà la sua legge, e chi sa osare più di tutti avrà maggiore potere. 

È sempre stato così e così sarà sempre. Solo un cieco può non vederlo.
Raskolnikov, dicendo questo, guardava Sonja senza preoccuparsi più se capisse o meno.
Era in preda a una specie di eccitazione febbrile. Da troppo tempo davvero non parlava con nessuno.

 Sonja capì che quel tetro catechismo era diventato il suo credo e la sua legge.

– Ho intuito allora, Sonja, – continuò come ispirato, – che la potenza viene concessa solo a chi osa chinarsi a raccoglierla. Occorre una sola cosa, una sola: osare. 

Per la prima volta in vita mia mi venne un pensiero, che nessuno aveva mai avuto, nessuno. 

Di colpo m’apparve, chiaro come il sole, che, stranamente, nessuno aveva osato od osava, passando davanti a tanta assurdità, afferrare semplicemente il tutto per la coda e scaraventarlo tuttoal diavolo. 

Io… io volevo osare, e ho ucciso… 
Io volevo solo osare, Sonja, ecco la ragione.
 Se per tanti giorni mi sono tormentato a pensare se Napoleone l’avrebbe fatto o meno, è perché sentivo già chiaramente di non essere un Napoleone… 

Ho sopportato tutto il tormento di quelle eterne elucubrazioni, Sonja, e ho sentito il bisogno di liberarmene;
e ho voluto uccidere, Sonja, al di fuori di ogni casistica, uccidere per me, per me solo.

Non volevo mentire neppure a me stesso. Non ho ucciso per aiutare mia madre, sciocchezze! Non ho ucciso per acquistare mezzi e potere e beneficiare l’umanità. Sciocchezze!

Ho semplicemente ucciso. Per me stesso ho ucciso. Soltanto per me stesso. 

E che sarei poi diventato un benefattore, oppure un ragno intento a intrappolare tutti nella sua ragnatela per succhiargli il sangue, questo in quel momento a me doveva essere indifferente. 

E non era tanto il denaro che mi occorreva quando ho ucciso: era un’altra cosa.

Ora lo so. Cerca di capirmi. Forse, anche continuando su quella strada, non avrei mai più ripetuto un delitto. 
Un’altra cosa avevo bisogno di sapere, un’altra cosa mi premeva: avevo bisogno di sapere al più presto se io ero un pidocchio come tutti o un uomo. 

Se potevo varcare la soglia o non potevo. Se avrei osato chinarmi a raccogliere o meno. 
Se ero una creatura tremante o avevo il diritto…

– Di uccidere? Se aveva il diritto di uccidere? – disse Sonja stringendo le mani.
– Eh, Sonja! – gridò Raskolnikov con rabbia; voleva aggiungere qualcosa, ma tacque
sprezzante. – Non interrompermi, Sonja. Io volevo solo dimostrarti una cosa: che fu il demonio a trascinarmi, allora, ma poi mi spiegò che non avevo diritto di andare dalla
vecchia perché anch’io ero un pidocchio come tutti gli altri. Si è preso gioco di me, ecco,
e ora io sono venuto da te. Accoglimi. Se non fossi un pidocchio, sarei venuto qui? Ascolta,
quando sono andato dalla vecchia, ci sono andato solo per provare… Devi saperlo.
– E ha ucciso! Ha ucciso!
[…] Egli appoggiò i gomiti sulle ginocchia e si strinse la testa fra le mani, come in una
morsa.
– Che dolore! – scoppiò a dire Sonja con disperazione.
– E ora, che cosa si fa, dimmi – le domandò il giovane, sollevando il suo viso sconvolto
per guardarla.
– Che si fa! – esclamò Sonja, balzando in piedi di colpo, e i suoi occhi, pieni di lacrime,
scintillarono. – Alzati! – Lo afferrò per una spalla. 

Egli si alzò, guardandola quasi stupito.
– Va’ subito, immediatamente, fermati a un incrocio, piegati a baciare prima la terra che hai profanato, e poi inginocchiati di fronte a tutto il mondo e grida in ogni direzione, ad alta voce: «Io ho ucciso!».

 E allora Dio ti manderà di nuovo la vita. Ci vai? ci vai? – gli domandò tremante, afferrandolo per le braccia e guardandolo con occhi di fuoco.
Egli rimase stupito, anzi sconcertato da questa improvvisa esaltazione.
– Vuoi parlare dei lavori forzati, Sonja? È necessario che vada a costituirmi? – domandò
tetro.
– Accettare la sofferenza ed espiare, ecco che cos’è necessario. 

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